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L’aquilone volava, sopra le teste,
sogni legati a quel filo di speranza,
le nostre vite, dietro le finestre
noi, poveri, tutti, svuotati d’eleganza.

Con gli occhi fissavamo l’ultimo viaggio,
in quell’angolo perduto di terra e dolore;
cos’era stata la notte se non un miraggio,
un respiro prolungato, urla di terrore.

Il silenzio sulle labbra, sporche di nero ai lati,
le mani dei bambini in cerca d’aiuto,
rivoli di lacrime lungo i corpi prostrati,
un vecchio senza forza, a terra seduto.

La vita scorre lenta e lenta è la sua eco
i respiri intensi le ore scandiscono,
sale il terrore, il sole diviene cieco,
parole contro l’uomo, punte che feriscono.

L’odore dei flutti impregna le narici,
eppure una luce attraversa il vagone,
i ricordi riportano a casa, alle proprie radici,
la mente corre libera, oltre quella dimensione.

Il caldo pulsa forte nella testa e nel cuore,
un piede accanto all’altro, se ne contano a migliaia,
la notte resiste nel suo ultimo bagliore,
attendono tremanti che l’incubo scompaia.

S’arresta lungo il binario, la corsa della morte,
all’orizzonte solo capanne e campi sterminati,
dal treno scenderanno popoli d’ogni sorte,
esistenze e destini con loro deportati.

Alzano gli occhi in alto, ma ancora non si vede, con speranza stringono l’ultima emozione;
la luce poi demorde e al buio il passo cede,
ormai il cielo, nel suo azzurro, ha perso l’aquilone.

Simona Guarino