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Domenica  27, alle 18 sono arrivata all’Hotel Palace per presentare, con altri tredici “otiosi”, Nazim Hikmet. Scendo dalla macchina e mia figlia inorrodisce: calzavo le ciabattine da casa. Non che indossassi l’abito dorato con lo strascico, ma insomma…
 Lei sbuffava contro la mia testa sempre piena di cose strane ed io incantata sentivo la voce di Mamma che nella tromba delle scale con rabbia appena rattenuta sibilava “Fermati! fermati! sei in pantofole” ad una ragazza fasciata in un abito blu da gran sera, scollato e persino con qualche pailette qua e là.​
“Vai in sala, ma piano, e tirati un po’ giù i pantaloni così non si vedono le ciabatte. Torno a casa a prenderti le scarpe” mi rassicurava mia figlia.​
La sentivo appena, mentre Mamma, che pur borbottando  mi aveva aiutato ad imprigionare in uno chignon neri riccioli ribelli, ora era nuovamente desolata: “A che pensi? Prima o poi lo capirò”. Io con due zompi nonostante il vestito attillato avevo afferrato le scarpe che mi porgeva e, squassata da un’incontenibile ridarola, mi ero avviata alla Festa, quella con la F maiuscola.​
Ma il mio amato Nazim, sfumato, cancellato per un momento da Mamma e da una buffa diciannovenne  in abito da sera e ciabatte, mi si impose subito:​
Nella sala conferenze dell’Hotel Palace il tavolo lungo era stato sostituito da civettuoli tavolini con al centro i microfoni per permettere a noi quattordici interpreti di armonizzare  le nostre voci senza saltellare ed incrociarci.​
Per precauzione mi installai a ridosso della parete; il tavolino davanti avrebbe nascosto l’onta delle ciabatte. Pochi minuti dopo, comunque, arrivò mia figlia con una bustina azzurra: le scarpe! 
E così quando Sara Germanotta ci inondò di musica con la Marcia turca di Mozart e  Margherita Amato ci ricordò che “La vita non è uno scherzo”, io ero di nuovo con lui, Nazim.​
La definizione di questo lavoro è stata laboriosa: Stabilito che di Hikmet avremmo presentato solo le poesie, quali scegliere? Tutte coinvolgenti, affascinano; quali escludere? Sottile il dubbio serpeggiava: avremmo creato un’antologia sentimentale? Poi, iniziato a studiare ed approfondire  il percorso che lo portò a subire il carcere e che nel 1950  gli meritò il Nobel per la pace, ci siamo trovati dinnanzi ad un trattatello di storia e di politica. Non è stato facile equilibrare il tutto. ​
Avevamo invitato Giovanni Brundu a leggere stralci della missiva inviata dal poeta a Joice Lussu; il giovane attore era con noi, ma completamente afono.​
Ha letto benissimo tutta la sua parte, oltre le due poesie assegnategli in precedenza, un giovane avvocato fortemente impegnato nel difficile cammino della magistratura; Domenico Ruggiero scrive e talvolta pubblica poesie sentimentali ed è innamorato dell’amore, di Leopardi, di Hikmet. Noi di Ore d’otium  gli vogliamo bene e ci fa piacere coinvolgerlo nel nostro lavoro. ​
Giulio D’Alessio ha iniziato a raccontarci il percorso che ha portato il ricco nobile nipote di un pascià a trascorrer quindici anni della sua vita in prigione.​
Italo Galante ci ha parlato di Ataturk, e donne colte e sensibili – Ornella Cauteruccio, Serena D’Alessio, Ida Fumo, Simona Guarino, Maria Antonietta Netri, Donatella Palazzo,  Simona Pezzella,  Enrica Suprani –  hanno recitato con voce commossa versi d’amore del nostro poeta, specie quelli per Munnever, la terza moglie, la donna più amata, colei che gli diede un figlio.​
Nazim Hikmet,  un guerriero idealista,  era anche  – e lo è stato sino al suo ultimo giorno – un amante appassionato che sapeva sognare, “vedere” la sua donna pur nello spazio angusto di una cella.​
Lo abbiamo ascoltato quando  con Munnever  recuperava  modi e tempi d’Amore negli incerti tribolati periodi di libertà.​
Brave le nostre interpreti, tutte; in qualche poesia le loro voci si alternavano, l’una facendo magari eco ad un’altra.​
“Della morte” è il doloroso sofferto incomparabile testamento di uomo vero, un uomo che ha testimoniato con l’intera vita il suo credere. Il suo ideale tuttavia non ha retto al tempo e noi abbiamo titolato il nostro lavoro “Una vita di amore e di utopia”. ​
La seconda parte di “La notte” con l’invocazione “Mio piccolo, mio piccolo” ce lo mostra padre. ​
Solo Omero, nel dialogo fra Ettore ed Andromaca alle porte Scee, quando il padre solleva verso il cielo il piccolo Astianatte, sa commuovermi tanto.​
Abbiamo riportato il nostro Nazim Hikmet su un Quadernone della Noitrè, il quarto dopo “Io Picasso”, ” Il mondo di Toulouse Lautrec”, “Le Metamorfosi di Ovidio, fascinoso intreccio di fantasia e cultura”.​
Intendiamo continuare e fortemente speriamo che altri si uniscano a noi per godere insieme l’Otium dei nostri antichi padri.​
 Sottolineo che una di noi, membro attivissimo del blog  ore d’otium.it con lunghi toccanti brani in prosa e versi,  vive a Bergamo e viene a Battipaglia per recitare nei nostri lavori. La nostra instancabile public relation lady  vive a Roma ed è con noi in ogni nostra manifestazione.​
L’otium, da noi bene inteso, ci aiuta tutti, donandoci amicizia, ironia, la rara preziosa autoironia spia inequivocabile di intelligenza, e tante ore di serenità costruttiva. ​
Gabriella Pastorino