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Non avevo ancora trovato me stessa quando ho perso anche te.

Era accaduto così, come quando di notte si accendono le stelle.

Rivedo il tuo sorriso, quella minuscola virgola nascosta nella folta barba, accentuarsi ogni volta che cercavo di strapparti una parola. Tu taciturno orso delle nevi, parlavi con gli occhi. Ma a me non bastava, volevo sentirla la tua voce, farle abbracciare i silenzi che a stento cercavo di riempire con i miei infiniti monologhi. Speravo sempre di convincerti a vincere le reticenze lessicali, a parlare di noi.

Solo ora capisco il senso della paura che serbavo. Aggrovigliata tra i pensieri, dimorava già in me, la tua assenza.
Mi manchi da vivere. E non mi serve averti perso per capirlo. Tu eri il mio tutto. La mia partenza e il mio ritorno. Il mio unico grande sogno. Ce ne avevo messo di tempo per farti entrare. All’inizio mi sembravi la reincarnazione mal riuscita di Tutankhamon. Poi ho iniziato a leggere tra le pagine della tua vita e a vivere nelle pieghe della tua pelle. E mi sono innamorata. Quel “ti amo” sussurrato tutto d’un fiato, nel timore che potessi respingerlo. Per poi scoprire che anche nei tuoi occhi, l’oceano poteva trovare una riva.

Eravamo l’uno il riflesso dell’altra. L’elemento della natura che lega a sé gli atomi di tutta l’esistenza.

Fino a quella notte.

Ti sei alzato con lo sguardo cupo di chi ne ha combinata una grossa. Non osavi aprire bocca, nonostante i miglioramenti e gli esercizi di loquacitá. Forse ti stavi abituando all’inverno freddo che, almeno una volta nella vita, colpisce tutti e che avrebbe travolto anche te. Anche noi.

Il tuo inverno si chiamava tumore osseo metastatico. Era apparso dal nulla così come fanno i sogni e poi, in pochi mesi, aveva conquistato la scena. Era un attore di fama mondiale. Sempre in cerca di applausi e riflettori. Sempre avido di notti insonni e di giorni infinitamente pesanti. Avevamo fatto una promessa. Tu lo avresti combattuto in campo, io in preghiera. Sto ancora cercando di capire chi di noi due, fosse più testardo.

Ti svegliavi ogni mattina, con il pugno chiuso e il sorriso sulle labbra, pronto a relegare il tuo avversario ai margini di un dolore che ti stava consumando. Nessuno, neppure lontanamente, poteva competere con la tua stessa forza di volontà. Avevi una luce speciale negli occhi. La stessa che avevo intravisto anni prima quando ci siamo conosciuti. La nascondevi a casaccio, sotto una coltre burbera e astiosa. In perenne lotta fra la timidezza e il giudizio. Eppure quanta dolcezza celava. Quanta sofferenza abbarbicata al cuore. Autostrade di cicatrici sul petto, facevano da mèta al tuo essere speciale.

Ti sei alzato, mi hai guardata consapevole che sarebbe stata l’ultima volta e ti sei accasciato a terra privo di forze e di vita.

Ti ho stretto a me, urlandoti di non lasciarmi, di restare nel mio mondo, di vincere la battaglia. Non avevo ancora compreso che l’avevi già vinta.

Sono trascorsi mesi ormai, ma tu continui a battere forte.

So che prima o poi, dovrò mantenerla quella promessa. Di ritornare a casa. Di riprendere il cammino laddove noi due, lo abbiamo solo apparentemente abbandonato. Di lottare e non aver più paura.

Faccio molta fatica ad immaginare la mia vita senza quel tuo sorriso a farle da ombra. Ma so che un giorno mi sveglierò e tu sarai accanto a me. Occhi negli occhi, a fare l’amore ridendo, abbracciati in un unico risveglio.

Oggi avrò la conferma. Maschio o femmina. Se maschio porterà il tuo nome, se femmina quello che avevamo scelto insieme. Il destino invece, li accomunerà entrambi.

Non riesco a vedermi i piedi. Avevi ragione, sono diventata come Moby Dick ma, dopo Pinocchio, a te le balene, sono sempre rimaste simpatiche.

Coraggio. Se mi tieni per mano, ce la posso fare. Se continuerai a sollevarmi il viso anche dall’immenso che ora abiti, potrò crescere nostro figlio con tutta la convinzione necessaria perché creda. In un luogo migliore. Quello che, attraverso le tue cicatrici e i miei incubi, siamo riusciti a raggiungere. L’amore che non muore.

Attraversami l’anima. E nel freddo che sento, sii il mio sole. Abbraccia le notti che porterò nel cuore e aspettami. Sii spazio fra i pensieri e brivido di sentimenti lungo la schiena. E non ti stancare se non sempre, riuscirò a stare al tuo passo. Accompagnami lungo il cammino. Fammi da faro. Riporta a riva ogni mio scheletro. Ogni grammo di noi che riuscirai a conservare. Un giorno, seduti ancora insieme, davanti a un film che nessuno dei due finirà mai di vedere, con una bottiglia di birra in mano, ci guarderemo negli occhi.

E alla fine, sarà sempre il tuo sorriso a vincere sulle mie paure.

Simona Guarino