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Due osservazioni, legate alla ragazza che ero mille anni fa ed alla donna che sono ora, plasmata così dalla vita:

– Alla Federico II a Napoli, più di mezzo secolo fa, Lettere e Giurisprudenza erano di fronte, divise da un pianerottolo che vedeva noi studenti talvolta ansiosi ed impauriti in attesa di un esame e talaltra persino un po’ spavaldi, impegnati in accese conversazioni per difendere le certezze donateci da docenti superseveri e superbravi e soprattutto da decine, centinaia di ore di studio.

Negli anni, quante volte ho ricordato le discussioni intorno agli Stati Uniti Europei che secondo noi sarebbero nati di lì a poco, portando benessere generalizzato?

Naturalmente avevamo in mente gli Stati Uniti d’America, mentre disquisivamo persino dei particolari che di lì a poco sarebbero stati la realtà di ogni angolo d’Europa ed anche del nostro Sud. Eravamo borghesi, molti di noi erano benestanti, ma tutti avevamo negli occhi la miseria di Napoli e non solo. Qualcuno – ricordo – parlava del Cilento, allora semisconosciuto alle masse e soprattutto alle poche guide turistiche: bello bellissimo, povero poverissimo; e costruivamo strade larghe, sicure, alberghi comodi ed ospitali…

Io queste cose le vedevo, vedevo Capri, Ischia, la divina Costiera divenir meta privilegiata di un turismo finalmente ricco e generoso; Vedevo, Sognavo.

Spesso però interrompevo i nostri accesi dibattiti per sottolineare che sì, l’Europa era vicinissima e tangibile, ma dovevamo pensare a quello che ai miei occhi era l’ostacolo maggiore: mancava una lingua comune.

Una storia comune – la Grecia, Roma – l’avevamo ed avevamo anche menti eccelse che avrebbero saputo evidenziarne i legami e smussarne le differenze che pure riconoscevo. Tutto si sarebbe stemperato nel generale benessere, proprio come negli USA.

I ragazzi di Giurisprudenza borbottavano che forse le difficoltà dell’esame di Diritto Romano erano finalizzate giustamente, gli studenti di Lettere dicevano che sì, Arnaldi era un torturatore ma alla fine il Latino lo si sapeva sul serio, e noi di Lettere Europee attaccavamo con Dante e Shakespeare…eccetera eccetera

– Poi quasi tutti, oberati da studi obiettivamente impegnativi, perdemmo un po’ di vista la nascente Europa e quando cercavamo di seguirne l’evoluzione, ci sperdevamo in mille particolari che a ben vedere erano spesso superflui, inutili.

Quando arrivò la moneta comune capimmo presto che anche l’Europa economica era una creatura sbilenca, spesso incomprensibile.

Perché ne parlo oggi?

Pur abbandonando sogni ed illusioni, non occorre essere un genio per vedere un corpo gonfio, abnorme, in perenne affanno, uno strano robot. So da me che guai a dirlo: l’Europa è la conditio sine qua non di ogni accordo politico, è il crinale che separa i buoni dai cattivi. E perciò pensosi borbottiamo di sovranisti, di quote latte, di frontiere aperte a tutti: l’Europa è madre feconda e generosa e sostiene i suoi figli, ma soprattutto i figli degli altri…

E poi questa madre – strana genitrice che costa ai suoi figli uno sproposito di denaro per lo più mal speso o sprecato tout court – nel momento della paura, del pericolo, si mostra incapace, legata a lacci e lacciuoli superati, ad una burocrazia asfissiante, gonfia di sé e tragicamente incapace di riconoscere i propri torti, i propri limiti talora letali.

E’ davvero passata un’era da quando ragazzi seri, preparati sognavano cambiamenti sostanziali, non di facciata.

E con un misto di fastidio e malinconia risento la mia voce giovane avvertire che c’era un ostacolo, uno solo ma importante: la mancanza di un idioma comune…

                                                                                    Gabriella Pastorino

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