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Olimpia era ancora bella. Bella come può esserlo una  signora nullafacente di …antasette anni, naturalmente. Curatissima – due volte la settimana dalla massaggiatrice, una dal parrucchiere, una al salone di bellezza, cinque in palestra – Olimpia strenuamente lottava contro il tempo: dieta ferrea con tutte le cretinate di un po’ di magnesio a gennaio, il folliqualcosa a febbraio, succo di carote ad aprile per prepararsi all’abbronzatura, insalata con noci sminuzzate anche se fino ad un anno prima niente noci perché ingrassanti, frutta a go go…

Insomma, ci siamo capiti.

Da sposata era stata una placida signora che trillava “La-politica-per-carità-roba-da- femministe”. Ed aveva ragione, povera stella: Ettore, il marito assessore, la mollò  per una brunona in sovrappeso che non si perdeva un congresso manco la vigilia di Natale.

La trippona – come la chiamava Olimpia quando non la definiva la femminista – aveva 25 anni, due lauree, voleva far carriera e l’assessore aveva le mani in pasta ovunque.

Olimpia ne fu distrutta. Cominciò la lotta per l’assegno mensile – lei non era femminista e mica lavorava – quando il marito ebbe un infarto, cattivo ma non mortale.

Nove giorni di incertezze (che faccio? la moglie offesa o la moglie angelicata che perdona?) ed un secondo infarto la spinse verso un tailleur nero di gran linea con raffinati inserti grigio-perla.

Ora finanziariamente stava benone, anche perché il suo unico figlio viveva felicemente in Canada e non parlava dieredità. “Andrà tutto direttamente a Carol e Liam” aveva detto. E lei aveva approvato.

La vita è imprevedibile e la fiorente vedova nullafacente destò l’interesse di un altro nullafacente, Eros.

La cosa cominciò con:

Eros, Olimpia. Ci lega qualcosa; qualcosa di ellenico”

 e allo sguardo vacuo della bella signora, il maschione dovette specificare; aggiunse poi che Santorini è tutta una magia e…

Eros era sensuale, muscoloso ed Olimpia fu subito conscia di avere undici anni più di lui.

“Partì” per prima la terra di suo padre, al paese. Non la vendette benissimo, ma ad Eros piaceva tanto il barchino che in realtà era un bicabinato con un mucchio di accessori tutti di ottone lucido che richiedevano cura e attenzioni.

Poi,  insieme, tre bilocali per giovani coppie; poi, piano, il resto.

Ma quando, dopo otto anni di Caraceni-Rolex-set di cravatte Marinella e  brevi viaggi che erano un peregrinare da un albergo di lusso ad un altro, l’uomo disse che la Rolls sarà vecchiotta, ma in quanto a status symbol è ancora imbattibile, Olimpia disse che no, la casa non l’avrebbe venduta.

Ora a …antasette anni tentava di convincersi che l’età è una stupida cifra su un documento, che la gioventù è nel cuore, che un seno morbido è certamente più appagante di sode protuberanze. E ripeteva che la musica metal è da preferire al rock ormai out e fingeva orrore quando la sua amica Nora l’invitava ad un reading di poesie o addirittura – Dio ce ne scampi! – a qualche conferenza.

Non osò comunque rifiutare l’invito che, prima con un cartoncino in carta d’Amalfi e poi telefonicamente, le fu inviato dal dr. Ing. Carlomagno dei marchesi… e giù tre cognomi.

La voce profonda si presentò: “Sono Carlo”, e al suo “Sìii?” aggiunse:

Sono Carlomagno; Ettore mi chiamava sempre col mio nome per intero”.

Era una conferenza noiosa noiosa noiosa, ma il salone era vasto ed elegante, il buffet fornitissimo e i relatori che si alternavano dietro un’austera scrivania praticamente si parlavano fra loro e non scocciavano troppo, tranne che per inconsulti applausi che si elargivano, sempre rigorosamente fra loro.

Olimpia, stretta in uno striminzito  tailleurino giallo  firmato dai sarti per giovanissimi, si chiedeva che ci facesse  lei fra quella gente, quando si sentì chiamare:

”Olimpia! Compagna Olimpia!”.

Le si parò dinnanzi un vecchietto che si esibì in un baciamano da Monsignor Della Casa: nel chinarsi rivelò una pelata appena adombrata da pochi capelli nivei raccolti in un codino sulla nuca.

“Non ti ricordi di me, compagna? All’Ergife quando Ettore fu acclamato segretario. Sono Carlomagno”.

Olimpia era maestra di savoir vivre, pur se otto anni con Eros e la sua sfuggente gioventù le avevano insegnato tante parole pesanti, talvolta sconce persino. Sorrise, assentì:

“…Sì, Carlomagno, sì…”

E fu un fiume di ricordi:

“…C’era Massimo…Fausto prima del tradimento… Enrico, oh Enrico!…”

Sul palco, dietro la bella scrivania di mogano, alcuni tizi continuavano a parlarsi addosso quando Carlomagno le strinse un braccio:

“Ecco, ci siamo, Romano sta per ricordare Ettore” e la spinse vicinissimo ai relatori.

Olimpia non capì niente, afferrò solo una parola, ripetuta e ripetuta, il compagno Ettore, Ettore un vero compagno. Si chiese se c’era pure la trippona femminista, quella che tanta compagnia aveva tenuto al compagno Ettore.

Carlomagno la invitò a pranzo per il giorno seguente. Olimpia accettò e pensava che chissà se ci arrivava a domani… vecchio com’è, mi sa che muore prima…

La svegliò, la mattina seguente una telefonata di Nora:

Su Repubblica, compagna Olimpia, sei su Repubblica!”

Nella foto che illustrava il pallosissimo congresso c’era leicol suo tailleurino giallo girasole, che sembrava guardare  adorante  PierLuigi che a sua volta guardava in alto, forse verso il sol dell’avvenir, chissà. Carlomagno quasi la sfiorava ed invece di mirare le scalcinate sorti del partito, sembrava indagare nella scollatura della sua giacchina giallo girasole.

L’organo del partito, come tutti, riprendeva la foto e poco sotto mostrava a contrasto il “traditore chic” su una spiaggia con la simpatica florida consorte.

Tanti i commenti dall’estetista e in palestra, e Olimpia se li godette tutti; lusingatissima, agitava una mano come a scacciare qualcosa:

Così vecchi, tutti così vecchi. Ma sbrighiamoci, ho fretta, vado a pranzo con Carlomagno.”

Leggendo i giornali aveva scoperto chi era Carlomagno, non quello dei libri di storia, quello col codino.

La faccio breve: Carlomagno, con un aiutino blu  ovviamente, mostrò entusiasmi inaspettati che lei gradì, oh, se gradì!

Nora, che era saggia per quanto Olimpia era scriteriata, ed intelligente tanto quanto lei era sciocca,  le fece una sfuriata ricordandole che erano state compagne di scuola sin dalla seconda elementare e che con lei non poteva barare sull’età e che dunque Carlomagno, il marchese Carlomagno, aveva due anni meno della “giovane” Olimpia. E al broncio dell’amica affondò il coltello ricordando la tenuta “Le pive” venduta per una Lamborghini ad Eros e che gli appartamentini “Cuore & amore” erano serviti…

Basta! Basta! si lamentò Olimpia, felicemente vinta.

Ma di certo lei non poteva fare la compagna, lei era signora da fede al dito e così si trovò ad affrontare il problema matrimonio: Carlomagno era rosso, ma rosso sul serio, non come il traditore Fausto, e figuriamoci se cedeva a queste usanze microborghesi.

Nora allora le ricordò che la femminilità non è solo quella lì, ma che ha anche altre sfaccettature, talora persino più convincenti; e Olimpia tirò fuori dalla borsetta un uncinetto con un gomitolo di lana glicine e chiese al rivoluzionario se gli sarebbe piaciuta una sciarpa soffice soffice, visto che si avvicinava l’inverno.

Si sposarono senza pubblicità alcuna, di nascosto, e lei, rassicurata finalmente, mise su otto chili, pretese che il parrucchiere Gigio la piantasse con le nuances azzurro cielo per ripiegare su un raffinato argento. La sciarpa la fece davvero, anzi le sciarpe – per Nora, suo figlio, sua nuora, i suoi nipoti in Canada, dove chissà che freddo! – perché i congressi in cui la trascinava Carlomagno erano tutti di una noia mortale e la compagna Olimpia  qualcosa doveva pur farla, e con l’uncinetto in mano  i giornalisti le facevano dei deliziosi primi piani e chi se ne fregava delle didascalie sceme sul lavoro che nobilita o altre menate così.

Gabriella Pastorino