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Si avvicina il Natale e molte persone che per vari motivi sono state costrette a lasciare il loro paese natio sentono la nostalgia per tante piccole cose che adesso non ci sono più. Riscopriamo attraverso questo scritto lo stupore, l’ingenuità, la gioia, l’attesa, il calore della famiglia e degli affetti. E soprattutto, della pace. Oggi abbiamo abbondanza di tutto ma famiglie divise, solitudini, degrado, violenza e guerre nel mondo. Tutte cose che da Lions vorremmo, queste si, cancellare.

Sono nata nel paese più bello del mondo, questa frase devo averla già sentita da qualche parte, ma la sento appropriata. Un paesino incastonato tra i monti, che appare all’improvviso solo nell’ultimo tratto di strada, prima vedi solo alte montagne verdi; è un posto ricco di storia e di tradizioni, soprattutto di verde e di aria buona; è il paese di mamma e papà, dei nonni, dei parenti e degli amici più cari. Mi manca tanto il mio paese e mi manca la famiglia che avevo un tempo, allorquando vivevamo tutti insieme in una grande casa: ricordo il fiume che scorreva lì vicino e le lavandaie che lavavano i panni, il profumo del pane appena sfornato, l’odore delle rose a maggio, le lucciole la sera e le mie passeggiate solitarie che terminavano sotto un albero di albicocche, dove mi sedevo su un incavo del tronco e mi sentivo un tutt’uno con i rami, i frutti, le foglie.

Ora che sta avvicinando il Natale ripenso alle belle atmosfere di allora, quando non si addobbavano gli alberi con luci e palline, ma c’era l’allestimento del presepe e c’erano le calze della Befana. Il Natale era soprattutto una festa religiosa; ricordo ancora la vecchia cassapanca in cui i miei nonni custodivano le statuine che io ogni tanto andavo a sbirciare come fossero un tesoro. Infatti, non vedevo l’ora di tirarle fuori quando aiutavo il mio papà nella preparazione: la carta per le montagne, lo specchio per simulare il fiume, lo sfondo stellato con la cometa, il castello di Erode coi soldati mori che facevano la guardia, i re Magi sui cammelli, il pastore che dormiva accanto al fuoco, le pecorelle, il cane, gli angeli sulla capanna. C’era poi l’immancabile statuetta a cui mancava una gamba che appoggiavamo ad un muretto per farla reggere in piedi. Il Bambinello non potevamo ancora inserirlo: si doveva aspettare la notte di Natale al ritorno dalla messa. E poi, dopo Natale c’erano le calze che noi bimbi appendevamo al camino, la mattina dell’Epifania appena svegli correvamo a prenderla e trovavamo immancabilmente il carbone e qualche mandarino ma, poi fondo, anche dolcetti e caramelle.

Ricordo quel tempo con un gran senso di gratitudine per la fortuna di averlo vissuto e di aver goduto di affetti semplici e sinceri. Un tempo fortunato che si contrappone consumismo, agli eccessi ma, nello stesso tempo, al vuoto di oggi. Avevamo poco, ma, i nostri cuori erano felici: c’era lo stupore, l’ingenuità, la gioia, l’attesa, il calore della famiglia e degli affetti, soprattutto, c’era la pace, non ci mancava nulla! Oggi abbiamo abbondanza di tutto ma famiglie divise, solitudini, degrado, violenza e guerre nel mondo. Certo indietro non si può tornare ma, memori di quei tempi che abbiamo vissuto, potremmo migliorare il nostro stare al mondo, aiutando chi ha più bisogno. Noi, più avanti cogli anni, potremmo raccontare quel mondo lontano a figli e nipoti, come si raccontano le favole.

Miriam D’Ambrosio