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Non avevo ascoltato l’intervento di Benigni a Sanremo sul Cantico dei cantici. Testo che per la verità conoscevo poco. Nei giorni successivi avevo letto dei commenti. Alcuni di totale condanna, molti anche di estrazione cattolica di forte apprezzamento. Non mi ero pronunciato non avendo gli elementi. Ho cercato il testo e l’ho letto, alla fine ho ascoltato la registrazione dell’intervento di Benigni. Ho trovato sublime sia l’uno che l’altro. Si parla sì dell’amore fisico, perfino descritto nei particolari, ma non per restare lì, no, anzi per superalo e attingere al sacro e perfino a frammenti di Infinito. Cosa c’è di più profondo e di maggiore sublimazione se non quello di vivere l’amore, in qualunque modo esso si presenti, etero ed omo, se non come veicolo che ci permette di attingere a qualcosa che supera la nostra materialità e la nostra finitezza? Non sarà un caso che proprio attraverso un atto sessuale siamo stati concepiti e venendo al mondo ognuno di noi e’ diventato quello che proprio la nostra religione ci definisce “ Tempio di Dio”. Benigni non si è fermato o ha indugiato sulla voluttuosità dell’amore fisico, no, l’ha superata. E sotto questo profilo trovo la sua un’interpretazione sublime. D’altra parte mai come in questo frangente vale il celebre motto latino” Omnia munda mundis – Tutto è puro per i puri”. Sono i nostri “occhi” che danno valore alle cose. Ritengo significativo che il 10 febbraio al Teatro Giuffrè perfino mons. Bregantini nella sua conferenza avente per tema “La Cura della Casa Comune”, intesa come Terra che tutto comprende, sullo sfondo dell’enciclica “Laudato si’ “, ha citato, solo citato, la presentazione del Cantico dei cantici fatta da Benigni. Che io consiglio di riascoltare con animo sgombro da pregiudizi o troppi moralistici. Può elevare non abbassare, come è capitato a me.

Italo Galante