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Dire che sono spaventata e confusa è un gentile eufemismo: sono del tutto sfiduciata. Con la testa perennemente fra le nuvole, di solito non mi accorgo di comportamenti miserelli e furbastri di chi mi circonda, ma in questi giorni di terrore mi rendo conto del perché di certe azioni, di insinuazioni, per lo più squallidi rattoppi a chiari fini elettorali.

Fuggo, cercando, al solito, rifugio nel mio mondo fantastico, ottimista, sereno; ma lo trovo desolatamente vuoto. E vago tentando di trovare qualcosa di consolatorio che mi allontani dal buio che ci opprime. Non riesco più a crearmi le mie favole sorridenti, ironiche, un po’ tenere e mi aggrappo a quelle che tutto il mondo conosce ed in loro mi tuffo.

Il papà della mia mamma, il “Nonnino”, quando avevo sei anni mi regalò l’enciclopedia Rizzoli che ancora conservo fra i miei tremila libri. Le sezioni dedicate alle favole le lessi e rilessi tutte, volume dopo volume, pur se conoscevo già le novelle dei fratelli Grimm e quelle magicamente illustrate di Perrault.

In quel mondo vivevo e ci stavo tanto bene. Disegnavo principesse con abiti larghissimi con mille pieghe, fate con il cappello a cono ed il velo fluttuante. Il principe rigorosamente azzurro aveva un berretto blu con su piume e piume; talvolta le disegnavo gialline (che secondo me era l’oro), o grigie, che era l’argento.

Dalla bella addormentata nel bosco avevo scoperto qualcosa di me.

Quando nasce un bambino le fate tutte gli fanno un regalo. Ero certa (e forse lo sono ancora) che Fatafantasia si fosse distratta ed avesse rovesciato tutta la sua gerla nella mia culla, ricoprendomi. Forse anche per questo alcune altre erano passate non lasciandomi quasi nulla: Fatafurba addirittura aveva fatto un sorriso educato e basta; perciò son venuta su credulona.

Ho riempito di favole anche l’infanzia dei miei bambini, pur se con esiti piuttosto originali: la primogenita ascoltava attentissima, ma talvolta mi interrompeva chiedendo precisazioni…surreali (e narravo favole!). Ad esempio adorava Cenerentola, ma arrivati alla reggia splendente per il ballo di gala, dovevo fermarmi a descrivere la tavola imbandita: decine di coppe di Nutella, Coca Cola a fiumi, montagnole di patatine fritte; e se mi interrompevo suggeriva: il tiramisù, gli involtini…

Io bambina quando leggevo e poi sognavo Cenerentola mica pensavo al cenone; visualizzavo lei con un abito intrecciato di raggi di luna che danzava leggiadra avvinta al principe azzurro. Che banalità, a ripensarci, ma ero una bambina piuttosto sola ed amavo stelle e lune.

L’ultimogenita addirittura provava insofferenza per le mie favole. Mi interrompeva perentoria: “Io c’ero?” e al mio diniego perdeva ogni interesse. Quando riuscii a regalarle una bamboletta nel passeggino, le dissi che quella era una bambina e se lei l’avesse amata e coccolata sarebbe diventata la sua sorellina piccola. Alla fine dell’estate mi affrontò a muso duro: “Sono mesi che me la porto dietro e sto attenta che non si sporchi troppo. E’ una bambola e tu mi hai imbrogliata per non farmela rompere subito”.

Ecco, potrei farvi un bel discorsetto sull’importanza pedagogica delle favole, ma principesse e maghi malvagi sono indissolubilmente legati ai miei bambini, a me bambina. E poi ricomincerei a pensar pensieri tristi.

Meglio continuare a seguir Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Hansel e Gretel e pure Humpty Dumpty.

Gabriella Pastorino

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