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Lunedì sera, a Quarta repubblica di Porro, Michele Santoro ha presentato un suo libro; questo, ufficialmente; in realtà per un’ora ha rivissuto i suoi anni da leone.

Io che seguo Porro anche durante le dirette mattutine, ero curiosa di vedere come si sarebbe svolto l’incontro fra due uomini diversissimi, ma ambedue intelligenti; ed è stato un tuffarmi  negli anni della mia gioventù e maturità quando spesso valutavo sogni ed utopie confrontandomi con Santoro attraverso le sue trasmissioni.

Che lo crediate o meno – poco importa – la mia gioventù è durata ininterrotta sino a marzo del 2020 quando qualcuno, tanti, mi hanno detto ricordato, dimostrato e ripetuto che sono vecchia.

Io che sono una vecchia signora” ripetevo sorridendo ormai da vent’ anni, allargando così vieppiù le ali della mia libertà, consentendomi bizzarrie, colori vivaci e musica a volontà.

Ma dal marzo 2020 son diventata vecchia sul serio, una che continua a pigliar soldi dall’INPS (o da un ente simile) e mica si decide a morire ed anzi pretende di uscire di casa per andare al supermercato a comprar semolino e fette biscottate.

“Il suo lo ha fatto”

sentivo sibilare… no, non a me, circondata, abbracciata da amore, regalini, tenerezze; non a me, ma ai miei coetanei sì, continuamente:

– “I nostri ragazzi non vanno manco più a scuola per tema di contagiare “loro” che la loro vita l’han vissuta.”

Non dirò che sono improvvisamente incanutita perché biondeggio falsamente da decenni, ma mi sono piegata.

Lunedì sera Michele Santoro, dopo aver rivisitato a lungo i suoi anni da leone, ha centrato il perché del suo dolore, della sua insofferenza durante i mesi maledetti:

-Essere impotente in mano a sconosciuti.

Ed è la stessa ragione del mio dolore, della mia insofferenza durante la non-vita impostaci con l’alibi del covid (che non temevo, dati i tanti anni già vissuti):

-Sentirmi completamente in balia di altri.

Che già di per se è terribile, ma unito alla disistima – talora disprezzo – per i carcerieri, mi ha tolto serenità ed equilibrio, riempiendomi di una gran paura. Fuggivo in qualche libro ma poi martellante, continuo l’elenco dei contagiati, dei morti; martellante, continuo il colpevolizzarci perché volevamo uscire di casa… appena un po’, non chissà che…

Santoro io l’ho seguito ed amato per anni, invitavo i miei alunni ad ascoltarlo in tv. E non venite fuori con le ridicole indicazioni che è di destra, no è a sud, no a sinistra. Pur riconoscendolo fazioso, a me interessava il suo punto di vista che confrontavo continuamente con il mio, lasciandomene talvolta influenzare.

Anche Lilli Gruber è spaventosamente faziosa, anche l’Annunziata, ma mica spostano di una virgola la mia ottica su persone e fatti.

Lui era intelligente!

Oggi mi riconosco in quattro giornalisti, freddi, razionali, bellicosi.

Non so se leggerò il libro di Santoro: temo di ritrovare, come da Porro, solo o soprattutto i laidi furbissimi mafiosi che ancora popolano il suo mondo intellettuale, temo di trovare la giustificazione di una classe giudicante che non ha più giustificazione alcuna e che vedo solo ferocemente aggrappata a privilegi inconcepibili.

Ho parlato di tuffo nella gioventù; espressione scema, lo ammetto, ma io, ascoltando Santoro battibeccare con Porro, ho rivisto persone buone e cattive, disoneste spesso, ma esseri pensanti.

Oggi, ripeto, vedo il deserto.

Penso a come debba alterarsi la mente di un uomo che ha faticato una vita intera per sentire poi un nulla qualsiasi che magnanimo promette come ad un bambino: “Domani puoi lavorare. No, no, anzi dopodomani. No, meglio fra un mese perché il virologo menagramo ha ghignato “Volete uscire di casa? E ‘mo torna il virus…”

E lui cede, è costretto a cedere.

Io stavo male, come Michele Santoro, come tanti altri: perché ci si è dovuti piegare dinnanzi ai nulla che agitando un simbolo di morte di cui nulla conoscono, ci hanno messo – noi consenzienti! – ai ceppi.

Gabriella Pastorino

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